-->

27 agosto 2015

Cinquecento miliardi di euro. È questa la somma degli investimenti italiani nei paradisi fiscali. Nel frattempo viene pubblicata la IV Direttiva contro il riciclaggio.

Cinquecento miliardi di euro. È questa la somma degli investimenti italiani nei paradisi fiscali, il 45% del totale degli investimenti dei nostri connazionali in paesi esteri. Lo scrive l’Ufficio di informazione finanziaria (Uif) presso la Banca d’Italia, che ha pubblicato, ad inizio agosto, un quaderno dal titolo: Paradisi fiscali: caratteristiche operative, evidenze empiriche e anomalie finanziarie. Dallo studio emerge un secondo dato inquietante: gli investimenti italiani nei paesi ad alta opacità non sono mai scesi dal 2008, dall'inizio, cioè, della crisi finanziaria ed economica dei paesi occidentali. Anzi, i flussi con i paesi a rischio e ad alta opacità, nel 2014, risultano superiori del 5% a quelli relativi al 2009. In controtendenza rispetto ai capitali indirizzati verso paesi considerati collaborativi e trasparenti.
Ma quali sono i paradisi fiscali?
Non c'è una classificazione ufficiale. La Uif prende come riferimento la valutazione compiuta da TJN (Tax Justice Network), un elenco di 57 paesi che attrae fino a un quarto degli investimenti dei portafogli mondiali, circa 9.500 miliardi di dollari nel 2011 (fonte Fmi). Nel 2013 TJN ha redatto una classifica dei paradisi fiscali, la nuova verrà presentata quest'anno. La Svizzera figurava in testa. Dopo gli accordi presi con diversi paesi (il 23 febbraio 2015 con l'Italia) per abolire il segreto bancario, la confederazione elvetica è probabile che perderà questa leadership mondiale. Pronto a rilevare la prima piazza, un altro paese europeo il Lussemburgo. Quindi Hong Kong, seguita dalle Isole Cayman, da Singapore e dagli Stati Uniti. Il Lussemburgo possiede già il primo posto nei casi italiani scoperti dalla Guardia di Finanza relativamente alla fittizia esterovestizione e, sempre in tema di evasione permettendo accordi riservati siglati ad hoc con le multinazionali, i casi di evasione fiscale internazionale scoperti nel corso delle indagini del 2012 hanno riguardato operatori economici con sedi in Lussemburgo (93 casi), Irlanda (59), Svizzera (45), Gran Bretagna (41).
Se poi consideriamo che Cayman e Isole Vergini Britanniche sono sotto il controllo del Regno Unito e della regina Elisabetta il quadro si complica ulteriormente. Si comprende come interessi apparentemente lontani da noi siano in realtà così prossimi.
Dal 26 giugno di quest’anno entro un biennio, l'Italia è obbligata a conformarsi alla IV direttiva antiriciclaggio, la 2015/849, del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015.
Per l'Italia una novità fondamentale è l'istituzione del Registro centrale banca-dati che conterrà le informazioni su trust e soggetti "segnalati", compresi i titolari effettivi delle scatole cinesi così care ad evasori e riciclatori di denaro mafioso. Banca dati a cui potranno accedere anche i giornalisti e tutti gli enti coinvolti dalla normativa in essere, la 231 del 2007. La direttiva inserisce i reati fiscali nella gamma di reati che qualificano un’attività criminosa, tale da costituire il presupposto del riciclaggio ed inoltre rivede il profilo delle persone politicamente esposte da considerare nella valutazione del rischio antiriciclaggio.
Un ottimo strumento. Redatto dall'Europa, per l'Europa e contro rilevanti interessi privati e pubblici di cittadini e governi europei. Interessi che sottraggono risorse fondamentali per il benessere e la qualità della vita della stragrande maggioranza dei cittadini.

Ma quali sono i servizi offerti dai paradisi fiscali? Dall'analisi compiuta dalla Uif, relativa ai 47 paesi meno trasparenti dell'elenco TJN, emergono due gruppi abbastanza diversi l’uno dall’altro.
Circa la metà dei paesi posti sotto la lente di ingrandimento ha un reddito pro capite basso (inferiore a 20.000 euro) e un sistema finanziario non particolarmente sviluppato: si tratta di paesi dove i capitali illegali vengono fatti affluire presumibilmente solo per schermarne la provenienza, ma dove non viene offerto alcun servizio finanziario (le cosiddette lavatrici, concentrate nei Caraibi).
La prospettiva cambia per i restanti 21 paesi a opacità media o alta, che hanno un reddito pro-capite superiore a 20.000 euro e risultano distribuiti equamente nelle tre aree geografiche considerate: Europa, Mediterraneo e Africa Occidentale; Caraibi e America Latina; Asia Sud-Orientale e Pacifico.  In questi paesi vengono offerti servizi non solo finalizzati a schermare la provenienza e la titolarità in modo particolarmente efficiente, ma anche finalizzati a soddisfarne esigenze di investimento e redditività. Non solamente ottimizzando l'aspetto fiscale, che sconfina spesso nella vera e propria evasione, ma anche agevolando il reinvestimento di fondi di origine illegale. tramite l’impiego di servizi finanziari che garantiscano un adeguato grado di poca trasparenza. In questo secondo caso è fondamentale la scarsa collaborazione con le istituzioni di lotta al riciclaggio presenti nei diversi paesi.